“ORO NERO” degli antichi: Il Pepe.
Uno dei luoghi più remoti per i quali abbiamo testimonianze dell’utilizzo del pepe fu il naso del faraone Ramesse II. Era un faraone della XIX dinastia morto nel 1212 a.C, il cui naso al momento dell’imbalsamazione venne riempito con piccoli grani del diametro di 3 mm di origine vegetale (piper nigrum ) destinati a prevenire l'affondamento dei tessuti molli dopo la mummificazione.
Il fascino e la spasmodica ricerca di materie ed elementi “esotici”, simbolo e autorappresentazione , fanno delle spezie e del pepe in particolare un obiettivo da raggiungere come meta di viaggi per noi quasi impossibili.
Originario dell’India il Pepe è presente nella Roma imperiale con innumerevoli utilizzi sia a scopo gastronomico che medico. La cosa che potrebbe apparire senza senso, e che per questo rende la materia ancor più fascinosa, è che il pepe non possiede alcun tipo di caratteristiche nutritive eppure venne ricercato e pagato cifre astronomiche. Gli autori antichi, solo alcuni in verità, testimoniano spesso sarcasmo e malcelata ironia nei confronti di una classe dedita a piaceri del tutto inconsistenti.
Da Plinio Il Vecchio, Nat.Hist.
« È sorprendente che l'uso del pepe sia diventato così di moda, vedendo che nelle altre sostanze che usiamo è la dolcezza o la loro apparenza che ha attratto la nostra attenzione; il pepe non ha nulla in sé che possa implorare una raccomandazione come altri frutti, avendo come unica qualità una certa piccantezza; ed è per questo che ora lo importiamo dall'India! Chi fu il primo che fece di esso un genere alimentare? E chi, per mia meraviglia, non fu contento di preparare per se stesso un pasto che servisse soltanto a saziare un robusto appetito? »
Nel recettario di Apicio, I sec. d.C, si possono contare 464 ricette e ben 474 menzioni della parola “pepe”. Questo per chiarire che non solo il pepe si trova praticamente in tutte le ricette, siano esse dolci, salate, verdure, carni, frutta o tutto insieme, ma anche utilizzato in ripetute preparazioni nella stessa ricetta. Erano infatti di uso comune la doppia o tripla cottura, la macerazione, la frollatura (spesso naturale). Il pepe costituiva la base per moltissime preparazioni esulando dalla semplice aggiunta finale quale "tocco aromatico". Era un fondamento della ricetta, un sapore imprescindibile. Questa insistente presenza, tuttavia, pare sia stata un po' pilotata da parte dell'autore.
Tutto questo smodato uso collima con i dati numerici delle fonti sull’importazione massiva dall’India.
I commerci dei Romani con l'India sono stati fiorenti fino al primo secolo dopo Cristo. Nelle cronache dell'epoca si trovano molti riferimenti a navi che partono da Roma cariche d'oro e tornano cariche di "oro nero". Nel 1983 è stato trovato un sito pieno di monete d'oro di epoca romana a una decina di chilometri da Pattanam nell’india meridionale. Una equipe di archeologi britannici ha iniziato degli scavi sulla costa dello stato indiano del Kerala per riportare alla luce il porto di Muziris, avamposto commerciale dell’Impero romano in India. Anfore e vasi con marchi di fabbrica di Arezzo (area dove fioriva la produzione ceramica da mensa e dispensa), vetri decorati ed altro, tutto materiale di scavo di origine Romana tra il I e il III sec. d.C. Molti autori latini ci riportano di numerose ambascerie di Indiani presso la corte imperiale. Ci hanno indicato anche il percorso delle rotte marittime: dall’Oceano Indiano toccavano l’Etiopia, risalivano per il Mar Rosso proseguivano verso il Mediterraneo attraverso il Nilo e gli stretti canali artificiali non ancora insabbiati che secoli dopo diverranno il Canale di Suez.
Altra testimonianza dei fiorenti rapporti tra Roma e l’india è che nelle fonti indiane e nei ritrovamenti archeologici sul posto sono state rinvenute testimonianze della presenza di schiavi bianchi, giovani fanciulli e fanciulle, molto richiesti alle corti indiane e che divenivano preziosi ornamenti per gli harem dei principi di Oriente. Pare inoltre che i “bianchi Romani” fossero molto richiesti perché abili carpentieri, fabbri, costruttori. E’ facile crederlo, direi, anche senza troppe fonti.
Andando un poco oltre nel tempo possiamo arrivare al V sec. d.C, al sacco di Roma da parte di Alarico, il quale secondo la Storia Nuova di Zenone (V, 41) volle che i Romani pagassero un' ingente somma in cambio di una tregua e dell’abbandono della città: 5.000 libbre d'oro, 30.000 libbre d'argento, 4.000 abiti di seta, 3.000 abiti di lana scarlatta e 3.000 libbre di pepe.
Un pizzico di Pepe nella vita è fondamentale. Lo sapevano anche gli antichi.