Sulla Via di San Paolo: aromi di un antichissimo suq
Studiando e girovagando per raccogliere notizie sulla vita di San Paolo ho avuto un' illuminazione "profumata di spezie".
Ripercorrendo le rotte di S. Paolo dalla natia Tarso (Cilicia, nell’ odierna Turchia) lungo tutte le coste del Mediterraneo mi imbatto in immagini di suq con spezie colorate, frutta secca, miele, pani speziati, insalate fresche, yogurt e menta.
Penso allora alle contaminazioni gastronomiche tra i paesi del mediterraneo, alla cucina greca, araba, spagnola, siciliana e vado a cercare (in onore del santo) alcune ricette mediorientali con sentori e ispirazioni antiche.
Quasi tutte le ricette che ho trovato, pur non conoscendo nel dettaglio la storia gastronomica locale, mi hanno facilmente riportato a remote ambientazioni .
Durante la lettura della conversione di Paolo nella città di Damasco ho voluto chiudere gli occhi e immaginare le strade polverose, i cavalli e i carri rumorosi, lo scalpiccìo degli zoccoli, i sandali di cuoio sul selciato, gli odori così forti da essere tangibili.
I mercati di una come di tante città antiche, province di un impero abitato da indigeni come da romani. Toghe, teli e spade che accompagnano vesti colorate e pelli bianche e ambrate. Le materie prime che si vedono tra i banchi di legno sono quasi ovunque le stesse da millenni, togliendo debitamente le contaminazioni posteriori regalo di ottomani e francesi.
Togliamo qualche clacson, qualche lampadina e qualche turista in maniche corte ed ecco che un mercato della Damasco di oggi non differisce poi tanto da uno di 2000 anni fa. (Concedetemi questa nostalgica visione, forse oggi è cambiato molto lo so).
Mi soffermo su alcune piccole letture di ricette e tradizioni siriane; alzo gli occhi e vedo apparire Paolo di Tarso nella Damasco degli anni 30 del primo secolo d.C. Lui si fermò in città accecato dalla visione divina senza bere nè mangiare per giorni, non avrebbe potuto quindi aggirarsi per un suq, ma immagino uomini come lui con in mano una Khubz eish shami o Pane Pitta con il quale accompagnano le diverse salse a base di verdure e legumi (Hummus, Tahin ecc..) e portano alla bocca una porzione di verdure o di carne stufata.
Le salse, le zuppe, gli stufati di carne o verdure sono carichi di spezie ed erbe aromatiche; queste sono state fin dalla più remota antichità tra le merci più comuni trasportate dalle navi onerarie romane.
Dal porto di Alessandria d'Egitto giungevano a Roma i sapori più decisi, le bacche più aromatiche, i frutti colorati e succulenti molto apprezzati sui banchetti dei goduriosi romani. Questi profumi hanno lasciato lungo i millenni un filo conduttore che ha legato a doppio nodo le tradizioni gastronomiche del sud Italia con quelle del bacino del Mare Nostrum.
Le necessità pratiche legate alla conservazione dei cibi hanno reso le spezie, il sale e le erbe aromatiche elementi imprescindibili destinati a rimanere come retaggi di un "gusto" culturale.
Caldo-aridità-conservazione dei cibi-salatura-speziatura. A tutto c’è un perché.
Meno spiegabili sono i perché che hanno reso ricercatissime e quindi carissime alcune sostanze aromatiche prive di qualsiasi valore nutrizionale. Il pepe in primis, pagato a volte a peso d'oro. Ma qui cadiamo nella filosofia di una classe dirigente che giustifica se stessa.
Concludo questo viaggio nel tempo con una citazione….
“Da qui le spezie proseguivano verso nord, per terra e per mare, fino all’Europa. Questa posizione di Damasco come crocevia delle carovane portava ricchezza alla città. Perciò i mercanti tenevano segrete le fonti e i percorsi delle loro spezie, come fossero miniere d’oro. Non di rado s’inventavano storie e creature spaventose che li avevano ostacolati nel procurarsi le spezie e durante il trasporto, così da far lievitare al massimo il prezzo. Ciò accadeva ance nel caso di erbe e spezie autoctone in Oriente, come coriandolo, timo, sommacco, sesamo e altre piante aromatiche. Erano menzogne che rendevano, visto che il pepe in alcuni periodi era più costoso dell’oro.”
(tratto da “La città che profuma di coriandolo e cannella” di Rafik Shami)