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Acquacotta degli Etruschi: tradizioni contadine millenarie

Oggi vado tra gli Etruschi, uno dei tanti popoli antenati di noi Italiani uniti in una nazione ma con tradizioni e storie millenarie diversissime.

Popolo studiato, chiacchierato, fulcro di curiosità e leggende e ancora “un po’ troppo” avvolto da oscure fantasie.

Percorro i loro campi, limitandomi ad un’area geografica ristretta per non incorrere in un comune errore: cercare risposte e soprattutto fare domande su un popolo che, come noi italiani di oggi, ha avuto origine da un coacervo di storie occupando terre e generando stirpi dal Veneto alla Campania, passando per la costa adriatica e fino agli arcipelaghi del Tirreno.

Ritengo fondamentale, per valorizzare una nazione unita, dare il giusto risalto alle diverse origini dei popoli. Le diversità e le peculiarità culturali di tante terre, anche a tavola.

Una delle caratteristiche principali del popolo etrusco doveva essere la gioia di vivere, così come sostiene anche lo studioso Giancarlo Signori (Storia delle abitudini alimentari. Dalla preistoria ai fast food) riferendosi ai dipinti con scene di banchetto della Tomba Golini I di Orvieto: “Un’esigenza la loro che non può prescindere dall’arte, dal piacere, da uno stile di vita che lascia confluire, saggiamente, la produttiva operosità in piacevoli e soddisfatti desideri”. I Romani erano soliti definirli “schiavi del ventre” (gastrodouloi) e Catullo nei suoi Carmina XIL. 11 parla di un obesus Etruscus così come anche Virgilio in Georgiche II. 193 indica un pinguis Tyrrhenus.

La frase che meglio semplifica la fisionomia di un popolo tanto studiato ma ancora per certi aspetti oscuro è di certo quella di Diodoro Siculo, in Bibliotheca V. 40, 3 che definisce gli Etruschi come uomini che «abitano una regione che produce di tutto e, impegnandosi nel lavoro, hanno frutti con cui possono non solo nutrirsi a sufficienza, ma anche concedersi una vita di piaceri e di lusso»

Piacerebbe a chiunque sentire la propria gente e la propria terra definite con tali parole, soprattutto in un momento di crisi culturale ed economica come quello attuale. Piacerebbe avere una pingue terra che regala frutti abbondanti, sani, saporiti e che permetta all’agricoltore soddisfatto del proprio lavoro di goderne per se stesso e per gli altri. Ma questa è un altro campo, e non è il momento di dissodarlo.

Rimango quindi nell’Etruria dell’alto Lazio e della Toscana centro-meridionale, quella definita Etruria propria, per prendere spunto da una ricetta fornitami da una foodblogger Etrusca originaria della maremma toscana: L’Acqua Cotta di www.unpezzodellamiamaremma.com di Tamara Giorgetti. Le tradizioni famigliari e gli odori di in una cucina della maremma moderna si affacciano facilmente ad una finestra di una fattoria etrusca di VI secolo a C.: un casale con muri in pietrame e argilla pressata impastati con paglia secca e poggianti su uno zoccolo in muratura di schegge di tufo sbozzato. Un tetto in tegole di argilla, porte di legno, un pozzo nell’aia, recinti per il bestiame. Magari un piccolo altare per le divinità protettrici alle quali dedicare doni per ingraziarsi un proficuo raccolto o la salute per le bestie.

Come dice Tamara nel suo blog, riferendosi alla maremma del secolo scorso, “c’erano le donne che restavano a casa e dovevano dar da mangiare ai figli, che erano sempre tanti, e così andavano nell’orto dietro casa e prendevano le poche erbe e le mettevano nell’acqua e ogni tanto, quando si salvavano dalle razzie quotidiane di padroni senza scrupoli, ci mettevano anche qualche uovo".

Oppure, per tornare nell’etruria del VI sec. a.C., possiamo immaginare un agricoltore intento nell’aratura del suo campo mentre conduceva i buoi attaccati al giogo per dissodare le zolle. Arrivato il momento per una sosta si sedeva sotto un albero e in una pentola di argilla buttava le erbe a sua disposizione.

Sempre Tamara, riferendosi ai bovari maremmani di qualche anno fa “L’Acqua Cotta maremmana era un mangiare molto povero che preparavano i mandriani durante le lunghe attese guardando le bestie che pascolavano, o quando le portavano d’estate e mangiare erba fresca verso il Casentino, oppure i carbonai quando andavano nei boschi a fare le carbonaie e stavano fuori diversi giorni, tutti si portavano dietro olio sale un pezzo di pane che già non era morbidissimo, carne secca e un pezzo di baccalà ovviamente secco."

Gli ingredienti per la zuppa, unico pasto caldo della giornata, potrebbero essere esattamente gli stessi:

sedano, cipolla bianca, coste di bietola, carote, sale e pepe, olio extravergine, uovo.

Unica eccezione alla ricetta della nonna di Tamara è (necessario storico) l’assenza di pomodoro, ben lungi dall’essere conosciuto in Europa.

E’ per questa mia richiesta, e comunque sempre vicino ad altre tradizioni locali di acquacotta toscana, che Tamara ha preparato e fotografato un’acqua cotta senza pomodoro: buonissima comunque.

RICETTA DELL’ACQUA COTTA di Un Pezzo della Mia Maremma:

http://www.unpezzodellamiamaremma.com/2014/07/acqua-cotta-maremmana.html/

  • 1 etto di sedano a testa, (se ci sono 10 persone sarà 1 chilo così per le altre cose)

  • 1 cipolla grande bianca a testa, se è tempo usate quelle schiacciate grandi, altrimenti quelle dorate

  • 1 etto di coste a testa, per le coste prendete le bietole quelle grandi e usate solo la parte bianca

  • carote, le carote si mettono solo per un effetto ottico, 1 se si è in pochi, 3-4 se in 10 o più

  • 1 barattolo di pelati piccolo o grande a seconda della quantità di verdure o pomodori freschi, o una buona passata

  • sale e pepe, olio extravergine

  • 1 uovo a testa, io bio


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