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Ab Urbe Condìta: 21 Aprile 753 a.C.

Per parlare della fondazione dei Roma e delle tradizioni legate al cibo in periodi così remoti della nostra storia (VIII sec. a.C.) ho scelto un luogo e un uomo stretti a doppio nodo alle antichissime origini dell’Urbe.

Il Pantheon e Claudio Gargioli, chef di Armando al Pantheon che dalla mole della gigante cupola prende calore ogni giorno.​

Il luogo in cui sorge il Pantheon è infatti legato al mito di Romolo, fondatore di Roma.

Il 21 Aprile era una festa dedicata ad una divinità pastorale, Pales, dal cui nome derivano le feste Palilia o Parilia celebrate il 21 aprile e (probabilmente) l’etimologia del monte Palatino. Proprio sul Palatino fu tracciato il solco originario che determinò il perimetro di fondazione della città. Parilia o Palilia dal verbo latino “PARERE=PARTORIRE” per sottolineare il momento dell’anno in cui nelle greggi vengono alla luce gli abbacchi e i capretti. Capodanno dei pastori, quindi, scelto da Romolo per fondare la città.

E Claudio Gargioli all’abbacchio c’è legato eccome!!

Romolo fece venire da Veio, una delle principali citta’ dell’Etruria meridionale, alcuni sacerdoti con i loro libri rituali; osservando le loro indicazioni Romolo procedette a scavare una fossa davanti alla sua casa, dentro la quale i membri dei vari villaggi convenuti misero le primizie del raccolto e le zolle della terra. Questo gesto simbolico fu per riunire in un’unica terra tutte le zolle e i frutti di quanti avrebbero fatto parte della nuova citta’.

Si racconta che nella parte meridionale del campo Marzio dove oggi sorge il Pantheon, presso la palus Caprae (palude della Capra), durante una tempesta fu assunto al cielo Romolo primo re di Roma. Tarquinio il Superbo si appropriò del luogo e lo fece coltivare a grano. Secondo una leggenda, durante la rivolta che causò la cacciata del re di Roma, i covoni di quel grano furono gettati nel fiume dando origine all'Isola Tiberina.

Entro nell’ elegante sala di Armando al Pantheon e trovo impiattati tre gioielli.

Sebbene avessi chiesto io a Claudio di preparare un piatto di tradizione antica, con grande sorpresa mi presenta sul tavolo una sintesi storica in perfetto stile archeologico: un piatto Etrusco, tradizione di epoca regia ( tra i Sette Re ben tre erano etruschi), un piatto risalente alle tradizioni contadine povere del periodo della Repubblica e un piatto sofisticato specchio della smodata Roma Imperiale.

Una porchetta della Tuscia:

con finocchietto, aglio e pepe, proposta alla clientela come prodotto artigianale di alta qualità e antiche tradizioni laziali. Cotture a fuoco vivo, erbe aromatiche e animali protagonisti come nei banchetti etruschi.

Il Moretum:

crema di formaggio (ricotta di pecora dell’agro romano) condita con olio, pepe e molte erbe aromatiche come si raccoglievano nelle antichissime campagne: finocchietto, salvia, timo, coriandolo, rosmarino.

Un raffinato scritto di epoca augustea, erroneamente attribuito a Virgilio, ci descrive la casupola di un contadino che non appena sveglio esce nell’orto e raccoglie le erbe per il suo moretum; rientra poi in casa e prepara una focaccia con la quale accompagnare il formaggio.

Qui c’era il cavolo, là prosperavano le biete allargandosi,

il romice rigoglioso, le malve, gli eleni,

qui la pastinaca e i porri, quelli che prendono nome

dal capo, e la lattuga, gradito intervallo alle nobili

pietanze, e cresce acuminato il ravanello

e la zucca che scende pesante nel largo ventre.

[….] Dopo il raccolto, siede accanto all’allegro fuoco,

e ad alta voce chiede il mortaio alla serva.

Stacca ad uno ad uno i capi d’aglio dal corpo nodoso,

toglie la superficie esterna e sparge per terra

i rifiuti e li butta via, bagna d’acqua

la testa e la butta giù nella cavità della pietra.

Vi sparge sopra grani di sale e, sciolto il sale,

Faraona ai funghi porcini e birra nera:

piatto molto apprezzato e di lunga tradizione per Claudio Gargioli e il suo locale. Di “ispirazione Apiciana”, dal gastronomo del I sec. d. C. Apicio nel cui De Re Coquinaria vengono descritte preparazioni complesse e ricche di sapori contrastanti. Le carni di volatili o la cacciagione venivano preparate con molteplici erbe, spezie, frutta fresca e secca, salse, ripieni elaborati da triti di interiora o amalgami di carni miste.

L’ispirazione di Claudio accosta la faraona ai funghi porcini in un comune sentore di bosco. Il tutto viene legato con un fermentato di orzo, così come Apicio legava molti dei sui stufati con amido di cereali. Odierna interpretazione è la birra nera che con il retrogusto di un amaro pungente fa spiccare il dolce dei funghi sulla corposa carne della faraona. Le erbe aromatiche di bosco (timo), il Carvi Kummel (come i romani usavano il cumino) e i pinoli hanno aiutato Claudio a riportare la cucina Romana di oggi alle tradizioni della perfetta semplicità. Gli eccessi del ricettario di Apicio sono infatti abbandonati per lasciare all’ispirazione un piatto di estrema eleganza.

Pastori delle origini, contadini etruschi, romani crapuloni e chef curiosi e intelligenti. Punto.

Buon Compleanno Roma mia.

L'intuizione del sagace titolo lo devo a Vincenzo Pagano, che ringrazio!!


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